martedì 15 dicembre 2009

Il permesso in sanatoria (cd. accertamento di conformità) tra legislazione nazionale e regionale.


  
La materia urbanistica è una di quelle in cui si spiega la competenza legislativa concorrente di Stato e Regioni. Sul punto va preliminarmente detto che in effetti la Costituzione non utilizza il termine “urbanistica”, ma parla, più genericamente di “governo del territorio”: è fuor di dubbio però che in materia possano legiferare sia il legislatore regionale che quello nazionale.
   Il rapporto tra le due fonti concorrenti è fissato dal comma 3 dell’art. 117 della legge fondamentale, per cui lo Stato è chiamato a determinare i principi fondamentali della materia, rimanendo per il resto competente il legislatore regionale.
   Premessi questi necessari cenni, si può affermare che l’accertamento di conformità (noto piuttosto come permesso in sanatoria) rappresenta uno degli istituti di più vasto impiego nella pratica quotidiana. L’art. 36 del d.p.R. 380/2001 prevede in particolare che il permesso possa essere rilasciato “se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”, mentre il successivo art. 45, comma 3, configura il rilascio del permesso quale causa di estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle vigenti norme urbanistiche: si palesa in tal modo la natura complessa dell’istituto in esame, destinato ad incidere sui profili non solo amministrativi ma anche e soprattutto penali della attività edilizia.
   La normativa nazionale di riferimento (v. di nuovo il citato art. 36) subordina la concessione del titolo abilitativo in sanatoria al “al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione  in misura doppia” (sul contributo di costruzione v. artt. 16 e ss. d.p.R. 380/2001): tuttavia, il cittadino che voglia usufruire dell’istituto è tenuto a fare i conti con l’esuberanza del legislatore regionale di turno.
   Infatti è degno di nota che la Regione Lazio, intervenendo sul punto, ha assoggettato il rilascio del permesso in sanatoria per interventi di nuova costruzione al versamento, sempre quale oblazione, “di un importo pari al valore di mercato dell'intervento eseguito, determinato con riferimento alla data di applicazione dell'oblazione” (v. art. 22 comma 2, lettera a) della l. r. Lazio n. 15/2008): con la conseguenza per cui il consociato intenzionato a ricondurre nell’alveo della legalità la propria attività edificatoria deve esser anche disposto a pagare ben due volte l’intervento posto in essere (si tenga conto del fatto che spesso il valore di mercato dell’intervento è superiore al valore di realizzazione dello stesso).
   La scelta del legislatore laziale lascia perplessi e si presta ad una disamina critica almeno sotto tre punti di vista. In primis, quello della ratio legis: se l’intenzione del legislatore è davvero quella di realizzare un giro di vite sugli abusi edilizi, va detto infatti che la previsione di sanzioni abnormi rischia di essere non un deterrente ma un incentivo all’abuso. Si immagini il quisque de quoque posto di fronte all’alternativa tra il lasciare nell’illegalità l’attività compiuta, sperando che la violazione urbanistica non venga scoperta, e il sanare l’illegittimità dovendo però sostenere una seconda volta un costo pari se non superiore a quello di costruzione: chi mai sarebbe disposto a pagare due volte la propria casa?
   In seconda battuta va vagliata la conformità di un tale provvedimento normativo al riparto di cui al comma 3 dell’art. 117 Cost.: in effetti in un parere reso al comune di Guidonia Montecelio (v. http://www.regione.lazio.it/binary/web/urbate_pareri/Guidonia.1235637461.pdf) la Regione si occupa del problema e afferma di aver provveduto ad una semplice “modulazione delle sanzioni” del tutto legittima in quanto l’importo delle stesse non potrebbe annoverarsi tra i principi fondamentali della materia individuabili in via interpretativa dalla lettura del d.p.R 380. Ad ulteriore riprova, sempre secondo il Dipartimento Territorio della Regione Lazio, starebbe il fatto che il Governo non ha sollevato nei confronti della legge regionale la questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 127 Cost.
   Ci si può astenere dal tentativo di confutare le argomentazioni ora esposte evidenziandone almeno la soggettività e la eccessività (il fatto che il Governo non abbia insistito in via principale presso la Corte Costituzionale non prova la legittimità della normativa in questione, come pretenderebbe la Regione), mentre sembra opportuno sottolineare un terzo profilo di criticità del provvedimento regionale: infatti la scelta di innalzare vertiginosamente l’entità dell’oblazione finisce per incidere anche sui profili sostanzial-penalistici della vicenda edilizia, essendo il rilascio del permesso in sanatoria una causa di estinzione del reato urbanistico. Oltre a quello insito nell’art. 117, vi è un altro possibile parametro costituzionale da tenere in considerazione: la riserva di legge in materia penale di cui all’art 25 Costituzione.
   Sic rebus stantibus non resta che attendere i futuri sviluppi giurisprudenziali della questione.

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